I. ANTEFATTO
Durante il periodo che precede il sogno mi stavo interrogando sul senso della mia vita in quel momento e di ciò che portavo avanti come persona, come terapeuta e come master di ReiKi. Ero tormentato dai dubbi, dalle domande, dalle perplessità. Non che non credessi più in ciò che stavo facendo, ma avvertivo chiaramente che qualcosa non era in sintonia e che, per riuscire ad armonizzarmi e fare chiarezza in me, dovevo rispondere ad alcune domande, su questioni che pensavo di aver già abbondantemente elaborato e superato.. e invece: sorpresa eccole di nuovo..!
La prima: che cosa valeva di più tra il possedere uno strumento e la capacità di usarlo? E poi, è solo una questione di potere personale, che può dilatare l’Ego a dismisura o deve essere usato solo per la crescita spirituale? Soggetto alle “leggi” del mondo occidentale moderno, o riprendere in prestito qualche dettame mistico orientale od occidentale che fosse, o tracciare qualcos’altro? Oltre tutto questo, ciò che osservavo accadere attorno a me nel “mondo del reiki” … e non solo in quel “mondo”, offriva tutto e il contrario di tutto e non tutto collimava col mio sentire interiore o la mia sperimentazione, anzi..! Ci riflettevo come sperimentatore e ricercatore dell’autoguarigione naturale, della crescita personale e spirituale, oltre che dal punto di vista del ReiKi, della trasmissione dell’energia universale, sovrapersonale e del sapere ad essa connesso, ma il discorso valeva per qualsiasi altro strumento a mia disposizione. Quando possediamo un qualsiasi strumento dotato di una sua potenza, quanto abbiamo il diritto di usarlo senza conoscerlo fino in fondo?...o quanto meno abbastanza?...e quanto è questo abbastanza?...Fin dove ci si può spingere senza snaturare il connubio fra se stessi, lo strumento e la missione in atto, data o creata o aspirata che sia?
Attraverso il ReiKi avevo a disposizione un strumento di guarigione in senso naturale e olistico, la potenza di quello strumento e la capacità di usarlo, nonché una conoscenza approfondita di quello strumento. Sono anche preparato nel Rebirthing e nel Counseling, ho sperimentato altre tecniche energetiche, ma possedevo anche un sapere o una conoscenza in senso più ampio, non limitato alla potenza degli strumenti? Una conoscenza complementare che ampliasse il mio sapere, che lo facesse divenire una conoscenza e un sapere applicativo, differente e meno limitato e quindi più appropriato?... stavo praticando il ReiKi, senza vivere il ReiKi?... e gli altri “strumenti” ?..
Questi dubbi vagavano dentro di me quasi quotidianamente, e le risposte che credevo di trovare avevano un andamento altalenante: a giorni parteggiavo per lo strumento, fine a se stesso; a giorni per il sapere; a giorni per il totale abbandono. Anche perché applicare l’ “ ENERGIA”, trasmetterla, dà un certo senso di sicurezza e di appartenenza privilegiata od esclusiva, a qualcosa di veramente enorme,che ci può far sentire, in qualche modo, potenti e accolti universalmente. Non per avere dei poteri magici, ne fare i guaritori, ne essere santi, ma essere o divenire migliori come esseri umani.
Lo strumento: decodifico una procedura e seguo in maniera cieca questa procedura, che quasi sicuramente avrà il dato effetto, e cioè il miglior effetto possibile.
Il sapere: più so al di là del mio strumento, più riesco a rendere efficace lo strumento anche se non effettuo la corretta procedura. Totale abbandono : fiducia sconsiderata in ‘tutto’ ciò che accade.
Di qui la domanda: vale di più lo strumento, io che lo uso o la conoscenza che ho acquisito nell’uso dello strumento? E si può stabilire una gerarchia di valori, in questo ambito, o le opzioni stanno tutte sullo stesso piano, come parti indispensabili e imprescindibili della stessa procedura, o della situazione in sé che sto vivendo?...o semplicemente è il modo di far qualcosa, che fa la differenza?
Questi dubbi irrisolti mi disturbavano, mi turbavano, lasciandomi frustrato, senza risposte ed irrequieto. Nel mio ragionare mi sottoponevo a una continua ricerca: sperimentavo, cambiavo le opzioni, inserivo, toglievo e modificavo, rivoltavo la questione per riprenderla in maniera differente, in un continuo stillicidio di ragioni, di valori e sperimentazioni che sembravano ora alleati, ora contrapposti. Non avevo più equilibrio, né armonia, ne pace.
Ho iniziato a tenere seminari e incontri di ReiKi Usui System nel 1996 (e poi di rebirthing e counseling), facendone la mia ragione e scopo di vita. Per qualche anno l’ho fatto esattamente così come lo avevo appreso, cercando quindi di attenermi all’insegnamento “tradizionale”. Mano a mano che procedevo nel mio percorso, però, percepivo incongruenze tra ciò che mi era stato insegnato e ciò che avevo appreso e ciò che, invece, mi risultava dalla applicazioni e dalle tecniche che usavo; tant’è che,già da tempo,ma soprattutto nei due anni precedenti il Sogno in questione, avevo abbandonato alcune di queste tecniche, mentre altre le avevo mantenute e alcune modificate. Il tentativo di specializzazione dello strumento, della procedura, delle modalità, si era fatto nel tempo sincopato, eccessivo, quasi schizofrenico. Lo avvertivo come inappropriato, disarmonico. Cercavo di mettermi in ascolto, di individuare le ambiguità all’interno dell’uso dell’Energia, ma, con i dubbi che mi portavo appresso, non riuscivo a trovare una soluzione e anche il lasciarmi andare al “cuore” sembrava una forzatura. Mi rendo conto ora che, dentro di me, ho sempre inteso il ReiKi come… ReiWa ( Nutrimento dell’Energia Spirituale Universale), cioè un’Energia espressa nella non interferenza, nel servizio, nel fluire assieme, in condizione di amorevole osservatore di ciò che accade, in somma come una… ”questione di cuore”. E anche come metodo energetico, che non esclude, ma che invece comprende i poli e i chiaro/scuro come frequenze diverse della stessa luce, quindi apolare e universale, non come energia polarizzata individuale o personale. E nemmeno solo una tecnica per la cura corporea.
Nella ricerca di informazioni e confrontando la mia esperienza con quella di altri, nel mondo ReiKi ho trovato nel tempo, molti, troppi per me, punti di vista differenti e a volte inconciliabili: dissidi sull’origine del ReiKi, su chi era o è più vicino al “vero” ReiKi, sui metodi , le tecniche, i “simboli”, i livelli d’apprendimento, sulla storia di Mikao Usui, la linea di discendenza dei masters… e così via. Quasi un contendersi la primogenitura, fra presunte o pretese superiorità, o di originalità relative al sistema Usui, o altre scuole di pensiero, o di semplice protagonismo e fors’anche con la visione particolarmente folkloristica di varie persone ( appartenenti al reiki e non). Insomma un bel guazzabuglio di idee e proposte, nel cercare una auspicabile, appropriata connessione, come anche un’applicazione e adeguata diffusione dell’Energia Universale. Ma questo accade probabilmente un po’ in tutti campi, come in tutti i campi ci sono persone di buon senso.
Questo Sogno l’ho collegato al Reiki/ReiWa, in quanto è sopraggiunto mentre stavo conducendo un seminario ReiKi di primo livello ( ma lo collego anche al Rebirthing Integrato da me applicato, in quanto: respiro è vita, vita è spirito, spirito è respiro ). I seminari li svolgo solitamente nei fine settimana e quella volta..quella notte d’agosto del 2008..il Sogno..di una semplicità, ma anche e soprattutto di una lucidità per me sorprendente, mi ha raggiunto come un fulmine.
II. IL SOGNO
Sono un cacciatore di entità. Sono stato chiamato dal preside di una scuola per scovare un’entità che disturba l’armonia dell’ambiente con la propria presenza, con la propria interferenza. Io devo intervenire per neutralizzare l’entità. Questa è una cosa che so mentre salgo i gradini dell’ingresso, una sorta di antefatto al Sogno dentro il Sogno stesso.
Intanto che salgo i gradini, ragazzi salgono e scendono accanto a me, chiacchierando e discutendo chiassosamente. La scuola è una costruzione moderna, fatta prevalentemente in cemento. Il portone che sto raggiungendo è molto grande, in vetro e alluminio. Penso alla mia missione e varco la soglia. Al di là c’è un atrio, ampio e deserto. Appena la porta mi si chiude alle spalle, vengo avvolto da un silenzio assoluto: il frastuono degli studenti resta chiuso fuori.
Mi guardo intorno e noto due rampe di scale: la prima sale a sinistra, verso le aule, l’altra scende a destra, verso il basso. Resto immobile, come ad annusare l’aria, per individuare la posizione dell’entità. Devo salire o scendere?
Percepisco che devo scendere: è una sensazione chiara, precisa. Prendo la destra e scendo lungo scale grigie, sfiorando il corrimano, che è di un marrone scuro. Incomincio a percepire la presenza dell’entità, e mi sembra quasi di inabissarmi nelle viscere dell’edificio. Faccio gli scalini molto lentamente, circospetto, titubante: non ho molta voglia di avere a che fare con quell’entità, che avverto pericolosa. Tutti i miei sensi sono in allerta: ho un certo timore all’idea di entrare in contatto con quell’essere.
Quando arrivo in fondo alla scalinata, sono in un piccolo androne. A sinistra ci sono gli spogliatoi, che si aprono, ognuno con la sua porta, su un lungo corridoio illuminato a giorno da una lunga serie di finestre, poste di fronte ad ogni porta; a destra c’è un’ampia sala con il pavimento verde, dal che deduco che si tratta di una palestra. Infatti vedo che in fondo, di fronte a me, ci sono i gradoni in legno e metallo per gli spettatori.
Avverto che l’entità è nella zona riservata agli spogliatoi: mi sembra quasi di distinguerne il respiro. Preferisco lasciarla in pace, almeno per il momento. Non me la sento proprio di addentrarmi negli spogliatoi per trovarmici faccia a faccia. Percepisco che è pericolosa, e non voglio irritarla.
Decido di prendere tempo ed entro nella palestra fingendo di volerla ispezionare: giro torno torno nello spazio verde come se stessi cercando qualcosa. Quando ho fatto quasi tutto il giro della palestra noto, con la coda dell’occhio, che nell’angolo a fianco della scalinata da cui sono sceso c’è un portone socchiuso, da cui filtra un lieve chiarore. Penso che potrei uscire di lì alla chetichella ma, quando mi volto per avvicinarmi, il portone si chiude all’improvviso, con un colpo secco.
In quell’istante tutta l’energia che permea il luogo comincia ad alterarsi in maniera preoccupante, e capisco di essere in pericolo. Anche le mie sensazioni mutano rapidamente: avverto ostilità nell’aria, come se qualcosa di indefinito, ma minaccioso, si stesse avvicinando. Mi sento come uno dei due sfidanti in un duello: l’entità mi ha percepito nonostante il mio goffo tentativo di dissimulare la mia presenza, e ora non posso più evitare di affrontarla. Non posso più andarmene, non farei comunque in tempo. La creatura mi ha captato, quindi non potrà fare a meno di seguire la propria natura e aggredirmi. Del resto io sono un cacciatore di entità, e dentro di me sapevo che non avrei potuto evitare di affrontarla e distruggerla. La sento: è come un bisbiglio dentro di me, quasi la creatura mi stesse dicendo che non potrò andarmene se prima non l’avrò affrontata. So per esperienza di non potermi sottrarre allo scontro, ma a questo punto non ho più paura, perché ho accettato la sfida. Ma mi rendo perfettamente conto che si tratta di una questione di vita o di morte: o io o lei. Non c’è altra via d’uscita. Avverto chiaramente che la creatura non mi lascerà andare, se prima non l’avrò affrontata.
La mia arma è l’urlo: il suono della mia voce. Riesco ad emettere un suono le cui vibrazioni sono in grado di annientare l’entità. O, almeno, fino ad ora ha funzionato. Mi sento abbastanza sicuro della potenza della mia arma: riuscirò ad eliminare l’entità, a dissolverla con la vibrazione sonora della mia voce.
Decido di lasciare la mia posizione e incomincio ad emettere l’urlo. Avanzo piano piano verso gli spogliatoi, attento e guardingo. Continuo ad emettere l’urlo, a bocca spalancata, sempre più forte. Sono concentratissimo nell’emettere quel suono, affinché sia il più potente e devastante possibile.
III. INTERMEZZO
Urlo così tanto che mi sveglio, di soprassalto. Sono nel letto, e sto urlando. Interrompo immediatamente quel suono, ma mia moglie Lucia si è svegliata. Mi chiede, scandendo bene le parole: «Va – tutto – bene?».
Mi tiro su, le rispondo dubbioso: «Sì, sì…». Non so nemmeno bene che cosa stia succedendo. Ma quello che avverto chiaramente è una voce interiore, fuori campo, che mi suggerisce di rimettermi giù e tornare nel Sogno. «Ho sognato di risvegliarmi, e mi sono risvegliato» bofonchio per spiegare a Lucia che cosa è accaduto. Glielo ripeto due o tre volte, ma, a quel punto, mi sto già rimettendo giù. Devo tornare nel sogno. Devo. Il Sogno mi sta permettendo di ritornare nel Sogno.
Ho appena il tempo di posare la testa sul cuscino, che sono già ripiombato nella palestra.
IV. LA FINE DEL SOGNO
Nella palestra tutto è come l’ho lasciato, ma con una differenza sostanziale: prima ero dentro me stesso mentre urlavo; ora, invece, mi trovo sulle gradinate, e guardo me stesso urlare. Sono un osservatore, e non sono dotato di fisicità: la mia fisicità è la che urla, e io osservo me stesso da una distanza incorporea. Il mio punto di osservazione e la mia consapevolezza sono nell’osservatore, che osserva l’altro avanzare e urlare.
Di botto, poi, senza preavviso, il me che urla esplode. Va letteralmente in mille pezzi, come se fosse stata una figura in terracotta. Ma l’esplosione è al rallentatore: tutto si svolge in un tempo dilatato, in cui ho il tempo di veder volare via ogni singolo pezzettino dell’altro me: ho tutto il tempo di vedermi esplodere. E il terrore che provo in quel momento, nel vedermi esplodere, cresce, continua a crescere, gradualmente ma in fretta, più in fretta del volo dei pezzi di terracotta. E’ spaventoso, incontenibile, e ho la netta sensazione di essere morto, o di stare per morire. Ho perso: sono stato eliminato. Ma non dall’entità: dal mio stesso strumento, dal mio stesso urlo. Ho fatto un tale sforzo per urlare, che quel sovraccarico mi ha mandato in pezzi. Come sotto una pressione interna.
«Sono andato, morto, distrutto!» penso. «Oltretutto dal mio stesso sforzo». E’ il fallimento dello strumento, ma anche il mio: del mio ruolo, della mia immagine come cacciatore di entità, famosissimo. «Sono letteralmente saltato in aria! Non esisto più!». Ed è come se la mia coscienza, dalle gradinate dove osservo la mia distruzione, cominciasse ad affievolirsi, come se fosse destinata anch’essa a scomparire: mentre i pezzi del mio corpo fisico cadono in terra, ho la sensazione che anche la mia parte incorporea si perda in pezzi, si annienti. Constato che non ci sarà più nulla di me, dopo che tutti quei frammenti di me si saranno sparsi a terra. Il terrore si trasforma in angoscia, un’angoscia assoluta: non vedo un rimedio, posso solo abbandonarmi alla disperazione.
Ma ecco che, mentre osservo atterrito la mia disintegrazione, noto una cosa insolita: là dove prima c’era il mio corpo rimane un’immagine, una sagoma; non ha contorni definiti, però occupa lo stesso spazio del corpo che l’ha preceduta, e ne ha pressappoco le medesime dimensioni. E’ come se fossi una matrioska: all’interno del mio corpo c’è un’essenza più sottile, che persiste oltre la distruzione. Quella sagoma non ha lineamenti, e appare come un bagliore lunare, una sorta di nebbia densa, chiara, di un bianco evanescente. Anche se non sento, ne vedo altri strati o corpi differenziati, la percepisco come se fosse una parte di me, ma, anche se ha un’essenza fredda, comincio a rincuorarmi: allora lo spirito persiste, c’è ancora qualcosa di me -esisto ancora!..ha-ha..
Però anche quel bagliore comincia a dissolversi, e mi rendo conto che si è trattato di un’illusione: lo spirito o l’anima, con cui lo identifico, evidentemente, non può sopravvivere all’annullamento del corpo. Il panico, a questo punto, mi sopraffà completamente: allora non c’è proprio niente, non rimane più niente dopo la morte; corpo, sapere, conoscenza, saggezza, esperienza, ricordi, tutto quello che siamo, non sopravvivono all’annientamento fisico. Sono esterrefatto, annichilito, e vengo invaso da un’immensa rassegnazione: mi sento come anestetizzato, mi sembra di non provare più niente, nemmeno il nulla. Non avverto più nemmeno il dolore della perdita di me stesso, sono travolto da una sorta di stupore negativo: quello provocato dell’impotenza e dall’inevitabilità di quanto mi sta accadendo. Tutti i frammenti del mio corpo hanno ormai raggiunto terra, e la luce lunare è quasi completamente svanita. Ormai non mi resta che dire addio al mondo, addio alla vita, addio a…
Ma ecco che un altro prodigio prende il posto dei precedenti: un oggetto indefinibile, grande come il pugno di una mano, resta sospeso a mezz’aria, proprio dove prima c’era il mio corpo fisico. Pulsa, come se respirasse dolcemente.. e ha il colore e la densità del metallo fuso: un bianco incandescente, con faville attorno. L’oggetto non s’ingrandisce e non rimpicciolisce: continua semplicemente a pulsare, a “respirare” ed emette una luminosità traslucida che si diffonde e comincia a conglobare tutto. Attraverso questa emanazione luminosa incorpora tutto: la palestra, i frammenti di me, l’ultimo residuo di nebbiolina lunare, me che osservo dalle gradinate, l’entità che è ancora dentro gli spogliatoi. Provo una mescolanza straordinaria di pace, di meraviglia e di terrore, e ho un’immediata intuizione: quella “cosa” che pulsa è ciò che “noi” siamo. La sensazione è nitida, e molto forte: “noi siamo quella cosa lì “ !
Pulsa, non chiede niente, respira, non pretende niente, accoglie, non si aspetta niente; se non essere lì e manifestarsi: pulsare, respirare e comprendere.. in un insieme.. che, mi sembra, è di una compassione in cui c’è un’immensa armonia, tanto che faccio fatica ad ammettere l’esistenza di tutto questo. Tutto questo è ciò che intendo o viene inteso con il termine “Amore” ?! .. o è inteso come l’Atman, o Pneuma o Vero Spirito, in vari antichi Testi ?!.. Ne sono sopraffatto. Questa energia e questa armonia è data dal senso di pace che si espande dalla “cosa”: salvifico, eterno, guaritore; avverto chiaramente che non può essere ferita, che è per sua natura risanatrice e che non può ammalarsi, perché diffonde armonia e pace e guarigione, in quanto è armonia e pace e guarigione. Tutte queste sensazioni mi colpiscono contemporaneamente, e le decodifico perché si stagliano con una chiarezza illuminante dentro di me. Provo un senso di meraviglia e di terrore, perché ho la consapevolezza che questa “cosa”, che abbiamo dentro, è ciò che ha mandato in frantumi il mio corpo fisico, e che ha fatto dissolvere la sagoma lunare. Ne ho la certezza assoluta: purtroppo, o per fortuna, ancora non lo so, la “cosa”, per manifestarsi in pieno, ha avuto bisogno che il corpo andasse in pezzi e che quella forma si luce lunare che ho creduto fosse il mio spirito (e che in realtà, ora la identifico e comprendo, come la mia sapienza, la mia conoscenza, la mia intellettività) evaporasse. Ma ho anche la netta sensazione che non è sempre necessario che il corpo e l’anima o la psiche con tutte le loro componenti, vadano in pezzi, o almeno non così.. e che forse, con la necessaria delicatezza, si può ottenere la stessa liberazione, senza negare o reprimere o far esplodere alcunché. Anche se per ritrovarsi bisogna pur perdersi, come per rinascere bisogna pur morire..o che qualcosa muoia, o si trasformi..
Ma la “cosa” esiste ancora più in profondità, e non va in pezzi. E, per manifestarsi, che cosa ha fatto? Ha annullato tutto il resto ma, quando ha cominciato a espandersi, ha compreso tutto; come se fosse una sorta di balsamo che guarisce tutto. A questo punto non m’ importa più che il corpo si sia frantumato, perché ha assolto la propria funzione. E anche quella sagoma intelligente e animata ha assolto la sua funzione: ha avuto il tempo di farmi fare una riflessione dentro il Sogno.
Mentre faccio queste riflessioni la “cosa” continua ad espandersi gradualmente, senza fretta, trasmettendomi una sconfinata sensazione di pace. Mi sembra di osservare un grande spettacolo della natura, di poterne osservare la reale potenza e di capirla, di indovinarne la reale maestosità, di riconoscerne la grandezza, di poterne misurare l’immensità. E colgo come lenisca tutto, come se stesse guarendo il mio terrore, il mio sgomento, la mia stessa distruzione. Inglobando ogni cosa non la appiattisce, non la uniforma: semplicemente, la comprende, la guarisce.
«Allora siamo questo», mi ripeto come un mantra. «Non è che il vero corpo, nella sua vera essenza». A quel punto comprendo che lo strumento che avevo a disposizione, l’urlo, non era inutile, e non è stato la vera causa della mia distruzione: sono stato io ad averlo usato in modo inappropriato: con paura e presunzione..e mancanza di spontaneità..sono la paura e la presunzione che l’hanno fatto esplodere, che mi hanno mandato in mille pezzi. E né la mia sapienza, né la mia conoscenza, ne la mia intelligenza manipolatrice, manifestatesi nella sagoma lunare, sono state sufficienti a permettermi di salvaguardarmi; anzi, si sono dissolte anche loro alla fine: hanno solo resistito un po’ di più. La “cosa”, invece, rimane, e mi trasmette un senso di pace, di tranquillità, di armonia. Mi fa far pace con il corpo, con la mente, con la palestra, il mio ruolo, persino con l’entità: con tutto.
A quel punto penso che il corpo esploso poteva essere la mia parte egoica oltre alla fisicità funzionale. E questo mi provoca tutta una serie di altri pensieri. Che faccio con la parte di me che è ancora sulle gradinate e che ancora non si è dissolta, anzi è sempre stata vigile. La parte della mia coscienza emotiva, che rimane sempre ad osservare e continua a trasmettermi emozioni, sensazioni, informazioni,messaggi, stimoli, che hanno i terminali nella coscienza profonda ..come se le emozioni che percepivo fossero la voce dello spirito..!
Rimango a lungo a osservare l’espansione della “cosa”, e nel frattempo ho tutti il tempo di fare ragionamenti dentro al Sogno. Che a volte si presentano come immagini, ricordi di ciò che è appena avvenuto, con una spiegazione al termine della scena. Lo strumento, l’uso, la voce, patapum! Più nulla. Utilizzo forzoso dello strumento..ma poi il balsamo, la pace, la comprensione..la gioia.
Tutto si disvela, tutto si chiarisce mano a mano che la “cosa” ingloba ciò che le sta intorno.
La parte lunare, che all’inizio ho scambiato per la mia essenza, per il mio spirito, può essere l’insieme di intelligenza, di conoscenza, di saggezza, di dati acquisiti; l’accumulo di nozioni, la parte psichica.
La “cosa” incandescente che pulsa è la vera essenza. E ho la sensazione fortissima che, proprio perché si tratta della vera essenza, tutto ciò di cui ha bisogno è stare lì e basta: non ha bisogno di niente, non pretende niente, non obbliga a niente. Il suo unico scopo è quello di pulsare e, mentre pulsa, di emanare quella luminosità traslucida, che forse è solo un riflesso. Ma senza la volontà di crearla: semplicemente, perché è nella sua natura, perché è fatta così. E, mentre pulsa, si genera, e porta uno smisurato senso di pacificazione, di serenità, di benessere assoluto.
Quando poi ogni cosa, mano a mano, viene conglobata, apro gli occhi.
V. RISVEGLIO
Sono sveglio, pregno di quelle sensazioni e di quei pensieri, che cerco di riordinare, immobile nel letto. Ho quasi paura che tutto possa svanire, che poi non possa più recuperarlo. Devo tenere con me il più possibile, cercare di non dimenticare nulla, riflettere su quanto mi è accaduto nel Sogno e su quanto il Sogno mi ha rivelato.
Resto così nel buio con le mie sensazioni, e poco dopo un lieve chiarore incomincia a diffondersi attraverso le strisce delle persiane, accompagnato da quelle sensazioni di serenità e di pace, mischiate con quelle di meraviglia e di terrore; ma non di timor panico, non di vera e propria paura, semmai come quando ci si può trovare, penso, sui bordi di un vulcano acceso: fissiamo la meraviglia sotto ai nostri piedi e sappiamo che, se metteremo un piede in fallo, cascheremo giù; ma non è che il vulcano voglia aggredirci: dobbiamo solo farci attenzione.
Tutte queste sensazioni restano con me ancora per molto tempo, e mi fanno scaturire nuove riflessioni.
Capisco che la suddivisione delle parti da cui è costituito un essere umano, che ho visto nel Sogno, è nella nostra stessa struttura e natura. E l’essenza è il nostro sostrato che definirei spirituale, fatto di armonia e di comprensione e così via. Ed è un sostrato, è qualcosa di immortale, e secondo la mia sensazione è invulnerabile a qualsiasi cosa. La parte più esterna dell’involucro, la sagoma lunare è la nostra parte psichica; il corpo di terracotta: la nostra fisicità. Il sostrato spirituale era rappresentato dalla “cosa”, che ora identifico finalmente con un’espressione, che mi viene alla mente con sorprendente lucidità: “cuore incandescente”, il “cuore del cuore”..!
La parte che continuava a osservare era la parte della coscienza(intesa nella sua totalità) unica,ma compenetrata, restava apparentemente fuori a guardare ciò che stava accadendo e mi permetteva di capire che cosa stesse succedendo: l’evento, i vari momenti. E mi permetteva di comprenderli tramite le sensazioni che provavo. Una specie di quarta parte, ma di fatto conglobata anche quella nell’insieme: non rimaneva separata, ma veniva anch’essa interessata, forse nel modo più indiretto, ma più profondo, dal cuore incandescente . E il cuore incandescente pulsava, e comprendeva tutto: ogni singola cosa.
Un’altra sensazione, che mi svelò un’altra componente del Sogno, mi suggerisce che non ero di fatto un cacciatore di entità, ma piuttosto il cacciatore della mia identità. In sostanza sono andato a cercare me stesso. Sono entrato in quell’edificio, che potevo essere io: rappresentava me stesso, e io sono sceso nelle profondità di me stesso, cioè nella palestra; che, oltretutto, è un luogo nel quale ci si allena, e in effetti, senza saperlo, mi stavo allenando alla reale comprensione. E, in profondità, combattevo con me stesso. L’entità nascosta, che avevo paura di incontrare, era con ogni probabilità il cuore incandescente, e nello spogliatoio non c’era che la sua ombra, l’ombra che, in qualche modo, lo prefigurava.
VI. CONSEGUENZE
Anche se un sogno appartiene di diritto al sognatore, ci possono essere altre interpretazioni, o meglio decodifiche, comunque…..non posso rimanere a letto. Devo affrontare il secondo giorno di seminario ReiKi. Non posso certo piantare in asso chi mi aspetta per starmi ad ascoltare, immobile nel letto. Devo alzarmi, darmi da fare. Al limite posso condividere la mia esperienza notturna con i partecipanti. Durante il secondo giorno dei seminari che tengo, ognuno racconta, se vuole, come ha vissuto il post-seminario o la notte precedente; è una prassi. Questa volta toccherà a me raccontare, e vedere che cosa accade. Così, nel secondo giorno di seminario, comunico ai presenti il Sogno. E scopro, non senza un certo stupore, che a loro piace, che sembra esprimere qualcosa al di là della mia esperienza personale. Sembra che renda loro un’idea più profonda, più completa di quello che stanno facendo. Il seminario prosegue senza particolari difficoltà, e si conclude in maniera simile a quelli che lo hanno preceduto. Neppure io ho difficoltà a tenerlo, nonostante ciò che mi si è rivelato nella notte. Forse perché i miei ultimi seminari già si avvicinano, comunque, a quello che poi sarebbe diventato il ReiWa; o forse perché dovevo ancora assorbire completamente ciò che avevo scoperto: di me stesso, ma anche dell’Energia Universale..e del Suo “respiro”..!
Di fatto, dopo quel seminario ne tengo ancora un paio di secondo livello, ma la mia esperienza con il ReiKi “tradizionale” si conclude a dicembre del 2008. Il Sogno è avvenuto ad agosto dello stesso anno, e in questi quattro mesi capisco che devo chiudere con questa modalità; che, così com’è impostata, non ha più senso per me.
Già negli ultimi tempi ho introdotto delle modifiche. Per esempio il passaggio tra il secondo e il terzo livello (quello che promuove i partecipanti a Master, nel sistema tradizionale Usui di reiki), è, a mio avviso, un grande scalino, uno scalino troppo ampio, spesso difficoltoso; avevo così inserito dei seminari( non livelli) di approfondimento. Già avevo precedentemente messo in essere un seminario specifico e di completamento dopo il corso di master. A questo punto, è lampante che i tre livelli tradizionali, non sono sufficienti, ne adatti: devo introdurne un quarto. E già così, oltre che promuovere l’autodisciplina e l’ascolto attivo,assieme ovviamente all’aspetto trascendente e a quelli del risanamento e della crescita personale, mi discosto dall’insegnamento tradizionale (o presunto tale) del ReiKi metodo Usui. Con questo nuovo approccio, mantenendo la riconoscenza e le radici nel ReiKi Usui System, sono in qualche modo già pronto per quello che chiamerò ReiWa. E che andrà via via aggiustandosi fino a raggiungere la struttura e il nome, attuali.
Propongo il ReiWa considerandolo per quello che è, e cioè un Simbolo dell’Energia Spirituale. L’Energia Spirituale( apolare e universale) è qui, a disposizione di chiunque, dentro ognuno di noi , ma non è da confondere con l’energia personale, ne corporea, ne psichica. Non ha senso nasconderla come non ha senso mercificarla, anche se un giusto scambio( anche in denaro, perché no??) relativo al bagaglio esperienziale e professionale messo in essere, ci può stare bene e senza scandali ne ipocrisie. La cosa che si può fare è condividere l’esperienza con buon senso e renderla accessibile a chi lo desidera e questo lo faccio, assumendomene la responsabilità, tenendo presente che l’Energia Spirituale Universale è impagabile quanto invendibile, non in quanto priva di valore, ma in quanto il suo valore è inestimabile e di fatto talmente elevato( non ha “prezzo”) che nessuno avrebbe di che “pagarsela”, ma uno scambio ci può stare. Da tutto questo e da altro ancora, scaturisce la riflessione che mi ha fatto, per così dire, quadrare il cerchio: non ha senso andare a pescare il Rei (Energia Spirituale) da qualche parte nell’universo per collegarlo al Ki (energia vitale individuale). Ciò che mi ha rivelato il Sogno è che il Rei non è in qualche luogo nell’universo, ma è in noi e non è da confondere con l’energia personale, ne di altro genere se non quella spirituale e universale. Lo possiamo pescare nella nostra profondità. Per fare questo, però, occorre aumentare la capacità di comprensione, consapevolezza e responsabilità dell’individuo, portandolo ( se vuole ) a fare esperienza e vivere il Rei non come cosa estranea a sé della quale doversi appropriare,o accodarsi, ma come cosa a cui già appartiene, come substrato pulsante (cuore incandescente) che fa parte di chiunque, come l’acqua che sgorga da un pozzo. Questo, ovviamente, implica tutta una serie di approcci differenti. A partire dal discostamento del Ki, che è comunque coinvolto nel processo in quanto facente parte del “pozzo”; e dall’introduzione del Wa, che è un concetto di Nutrimento( i due ideogrammi giapponesi che lo compongono rappresentano un “cereale” e una “bocca/forno”) quindi anche di pace e armonia, indispensabile per una adeguata attivazione e utilizzo del Rei, inteso come Energia Spirituale, per lo sviluppo interiore e la guarigione naturale.
Le conoscenze e le esperienze che si possono acquisire nel percorso ReiWa, sono approfondite e ampliate rispetto al precedente percorso reiki tradizionale. Ad esempio nel quarto livello( master) ReiWa, è prevista un’ulteriore attivazione, che completa il seminario, una parte del quale è riferita alle attivazioni, dove il master si dedica ad altri; una parte riferita all’approfondimento del lavoro di ricerca interiore, dove coinvolge maggiormente se stesso in modo più ampio. Nell’insieme dei quattro livelli d’apprendimento ReiWa c’è quindi la ristrutturazione, riposizionamento e aggiunta riguardante: i riti d’attivazione energetica; nonchè un adattamento e rinnovamento funzionali alle metodiche e tecniche d’applicazione, come ad esempio la respirazione e la meditazione con l’Energia Spirituale Universale nel terzo livello ReiWa, che contiene anche un rito d’ attivazione energetica. Quindi nel metodo ReiWa sono previsti tre specifici riti d’attivazione energetica nel primo livello, uno nel secondo livello, uno nel terzo livello, due nel quarto livello). Ma ora non vorrei addentrarmi troppo nei dettagli. Potrei esprimermi con una metafora in riferimento alReiWa:
Immaginiamo una brocca immersa nell’acqua. L’acqua che sta dentro la brocca non è diversa da quella che sta fuori. Oltretutto, ha le stesse caratteristiche. La brocca stessa è impastata con la stessa acqua, con lo stesso elemento. C’è unità non separazione, allora perché non far sgorgare da noi ciò che già abbiamo,che già è nostro di appartenenza intima e profonda e che va ben oltre l’energia personale e ambientale? Se c’è questo sostrato comune, il Rei, e noi ci individualizziamo attraverso il corpo psico-fisico(ki) , allora non resta che far emergere il Rei da noi stessi. È molto più di un “lasciare andare”, è un “lasciar essere”. Non abbiamo alcuna necessità di prenderlo dall’esterno, perché scorre già in noi. E, se lo prenderemo dall’interno, cominceremo a comprendere che si tratta di qualcosa cui apparteniamo direttamente e universalmente, che direttamente si collega tanto alla nostra fisicità, che alla nostra psichicità; e questo dovrebbe aumentare il senso di responsabilità, senza alibi, ne colpe, ne scarica barile, ne accuse verso chicchessia e nemmeno verso se stessi.
Se abbiamo un corpo fisico è perché viviamo in un mondo fisico. Abbiamo bisogno dei sensi, che ci permettono di fare il passaggio tra l’interno e l’esterno e fare esperienza. La nostra psiche che compenetra anche il nostro corpo fisico, ci permette di elaborare, di fare da ponte tra il mondo in cui viviamo e il sostrato spirituale comune su cui siamo innestati e stiamo crescendo.Questo porta a un grado di consapevolezza spirituale che porta, a sua volta, ad avere più rispetto di sé, degli altri, di ciò che si fa, di ciò che fanno gli altri; ad avvertire il senso di appartenenza a qualcosa di comune, natura compresa; a mettersi, quindi, in gioco in maniera decisamente meno pretenziosa e senza furbate; ad essere più consapevoli, comprensivi e ad un maggiore sostegno reciproco, ma liberamente e comunque con rinnovata innocenza. La nostra parte interiore è lì nel sostrato, è lì dove penso che siamo proprio ‘fratelli’ e “sorelle”. Ciò che ci differenzia è la nostra psichicità( oltre alla nostra fisicità evidente e alle esperienze); che ci permette anche, però, di comprenderci come manifestazioni sì uniche, ma di un’unica radice comune, di un’unica matrice. Tutto questo vissuto come un trasporto di spiritualità applicata e non come un ordine religioso. Da qui è nata l’esigenza di trovare l’approccio ottimale e le tecniche adatte ad esprimere questa intrinseca “apolarità”, questa partecipazione all’universalità, questo percorso, che non è ILpercorso, ma UN percorso. Un percorso di crescita personale e spirituale,di (auto)guarigione fisica e psichica, nonché opportunità di servizio, quindi d’aiuto, per se e per gli altri esseri. Non si tratta di divenire adepti o creare condizionamenti, ne tantomeno dipendenze, ma di emanciparsi, rendendosi autonomi il più possibile, pur nel condividere assieme l’esperienza del percorso, formandosi anche una coscienza critica, prendendoci anche l’onere e l’onore di essere, nella semplicità, maestri di se stessi. Per quanto mi riguarda non rinnego, ne entro in contrasto al ReiKi, ne con altri metodi o tecniche. Quello che ho ideato con ReiWa non è un qualcosa di ibrido, ma di evolutivo che si innesta agevolmente nel “tronco” del ReiKi “tradizionale” e di fatto sono compatibili. Ciò che sento interiormente, che ho sperimentato come efficace e armonioso per il ben-essere olistico e ho descritto sommariamente in queste pagine, cerco di tenerlo presente e applicarlo quotidianamente. Buona Vita.
INFO: Adriano Bontempi ( master Reiki Usui dal 1996 - ideatore metodo ReiWa /// counselor-rebirther, formazione professionale all'Istituto Oceano Sintesi di Milano nel 2001-2003 ) - cell.: 389.07.31.063 / e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.